Il controllo di gestione e il costo del personale (IV): ore e costo orario
Le domande che ci siamo sentiti fare più spesso in azienda relativamente agli oneri del personale sono: “Qual è il costo del signor X?”, “Quanto è il costo orario dei dipendenti?”.
Altrettanto spesso le risposte che abbiamo ascoltato dal settore HR sono state: “Dipende” oppure “Per cosa ti serve?”.
A nostro avviso questi elementi inquadrano perfettamente la complessità del mondo delle risorse umane e le loro innumerevoli sfaccettature.
Proviamo dunque a fare un po’ d’ordine soffermandoci prima per appena un attimo su quel “dipende” che costituisce uno snodo determinante nelle nostre vite, sotto varie sfaccettature. Questa volta, al riguardo, ci va di citare Rita Levi Montalcini: la scelta di un giovane dipende dalla sua inclinazione, ma anche dalla fortuna di incontrare un grande maestro.
Dite che non c’entra nulla? Dipende…
Di quali ore parliamo
Al numeratore della formula per la determinazione di un costo orario (non “del costo orario”) ci sono, ovviamente, gli oneri economici. Ne abbiamo parlato in un contributo precedente evidenziandone la complessa articolazione.
Al denominatore stanno invece le ore. Ma quali?
Le ore lavorabili o le ore lavorate?
E tra le ore lavorate, quelle risultanti dalle timbrature (se esistono), dai timesheet o da qualche eventuale altro strumento/sistema adottato dall’azienda?
Per ore lavorabili si intende il numero totale di ore che un dipendente può teoricamente lavorare in un determinato periodo di tempo, generalmente su base settimanale, mensile o annuale, secondo le disposizioni del contratto di lavoro e le normative vigenti. Queste ore tengono conto degli orari standard di lavoro escludendo le ore non lavorabili dovute a ferie, malattie, congedi, permessi, ... Nella determinazione delle ore lavorabili si deve tenere conto almeno dei seguenti aspetti:
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orario contrattuale,
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giorni lavorativi,
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ferie e festività,
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permessi retribuiti,
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ore di malattia e congedo,
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riduzioni di orario,
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…
Non è la sede (né abbiamo la competenza) per approfondire questi punti ma ci interessa evidenziarli per ribadire la complessità dell’argomento.
Sempre con questa finalità elenchiamo, in modo non esaustivo, anche come possono essere suddivise le ore lavorate:
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ore ordinarie: sono le ore di lavoro previste dal contratto di categoria (CCNL) e dall’orario standard settimanale.
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Ore straordinarie: ore lavorate oltre l’orario di lavoro ordinario. Vengono generalmente pagate con una maggiorazione rispetto alla tariffa oraria normale.
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Ore di permesso retribuite: si tratta, per esempio, dei ROL (Riduzione Orario di Lavoro) e dei PAR (Permessi Annui Retribuiti).
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Ore di ferie.
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Ore di malattia.
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Ore di infortunio.
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Ore di congedo parentale.
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Ore per altri tipi di permesso. Per esempio la cd. “104”, legge 5 febbraio 1992 numero 104.
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Ore di sciopero.
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Ore di onboarding (sì, anche queste possono essere tracciate).
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Ore di formazione.
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Ore di lavoro notturno.
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Ore di cassa integrazione.
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Ore di viaggio. Si riferiscono al tempo impiegato dai dipendenti per spostarsi da un luogo all’altro (spesso il cantiere) per ragioni lavorative. Ovviamente non stiamo parlando del tragitto abituale tra casa e lavoro. Il concetto è particolarmente rilevante per i lavoratori operanti nel settore dei servizi.
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Ore di missione. Periodi in cui il dipendente è inviato in trasferta fuori sede.
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…
Come si può vedere l’elenco, come detto incompleto, è veramente nutrito.
Assenteismo
Piccola digressione rispetto al tema del costo orario.
Con la disponibilità di tutte le informazioni orarie a cui abbiamo appena accennato è possibile ricavare un indice importante in stretta relazione con la produttività aziendale, quello dell’assenteismo. I singoli elementi da tenere in considerazione possono essere opinabili e differire da impresa a impresa ma il parametro che ne risulta è comunque utile per poter operare confronti con gli indici statistici generali o di settore. Si tratta cioè di un importante benchmark e “numero” di stimolo per migliorare l’efficienza aziendale.
La determinazione della percentuale di assenteismo è un processo che, in sintesi, implica il calcolo del rapporto tra le ore di assenza dei dipendenti e le ore di lavoro previste, moltiplicato per 100.
Riportiamo di seguito i passi essenziali da seguire per calcolarla.
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Definire il periodo di riferimento: per esempio il mese, il trimestre, l’anno.
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Raccogliere i dati sulle ore totali di assenza nel periodo considerato. Si tratta di includere tutte le ore di assenza non giustificata, malattia, infortunio, permessi non retribuiti, …. Il riferimento all’elenco sopra riportato è d’obbligo. La discrezionalità aziendale sta nella scelta delle voci eventualmente da escludere, perché difficili da individuare o perché ritenute trascurabili.
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Determinare le ore di lavoro totali pianificate.
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Calcolare la percentuale di assenteismo secondo la formula:
(Ore di assenza totali / Ore di lavoro totali pianificate) X 100
… e finalmente il costo orario
Torniamo al punto di partenza per concludere questo breve e semplificato percorso e proporre la formula che normalmente adottiamo per determinare il costo medio orario del personale aziendale.
Prima versione, facile da calcolare:
Costo complessivo del personale / Ore di lavoro retribuite
L’informazione delle ore retribuite è desumibile dal riepilogo dei cedolini.
Seconda versione che presuppone la disponibilità delle ore realmente lavorate ma che davvero misura l’onere sostenuto dall’impresa parametrandolo al tempo di lavoro che la stessa impegna per i propri clienti.
Costo complessivo del personale / Ore di lavoro effettivamente impiegate
Questo dato è facilmente rapportabile al valore orario dei ricavi fatturati calcolato come:
Ricavi complessivi per prestazioni eseguite / Ore di lavoro effettivamente impiegate
L’inevitabile e automatico passaggio successivo sarà la determinazione
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della redditività oraria calcolata come semplice differenza tra i due dati individuati:
Ricavo medio orario – Costo medio orario
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e di quella percentuale (mark up):
(Ricavo medio orario – Costo medio orario)/Costo medio orario
Ovviamente le considerazioni appena espresse sono volutamente semplificate (non tengono conto infatti di eventuali attività svolte da subappaltatori, per esempio) ma riteniamo siano comunque utili per misurare la marginalità effettiva del personale produttivo aziendale.
Con queste informazioni disponibili si possono effettuare ulteriori attività e approfondimenti.
Avremo modo di affrontarli in successivi articoli. Seguiteci se volete saperne di più.